Non solo Dacia: chi sono gli “angeli custodi” del Gran Sasso

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By Gabriele

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La cagnetta Dacia

Nelle scorse settimane vi abbiamo parlato dell’emergenza  ‘bocconi avvelenati’ che preoccupa anche l’area del Gran Sasso, dove sta prendendo piede il progetto di conservazione della specie dei lupi, riducendo l’impatto del randagismo canino. Tre i cani che operano in quel territorio e tra loro c’è Dacia. Lei una border collie dolcissima, sempre pronta a correre per andare alla ricerca delle trappole a base di stricnina, insetticidi, ratticidi, antilumaca. Esche che la crudeltà dell’uomo è in grado di immaginare e mettere in pratica, affiancandole ad altre piene di chiodi, spilli, ancorette da pesca, spugne fritte nell’olio.

Oltre a lei ci sono un pastore belga Malinois e un Jack Russell. Dacia è affiancata dal suo conduttore Alberto, più di 30 anni di esperienza come allevatore di cani: “Quando gli infilo la pettorina lei capisce immediatamente: basta giochi, è giunto il momento di lavorare. Si fa sul serio”, dice a ‘La Stampa’. Al suo fianco, c’è Alessandra Mango, brigadiere capo dei Carabinieri forestali con il suo pastore belga Malinois. “In totale in Italia abbiamo oggi 13 nuclei tra Carabinieri forestali e parchi, per un totale di 22 animali”, spiega.

I drammatici numeri degli avvelenamenti

Alberto Angelini, responsabile del Nucleo cani antiveleno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, evidenza come sia un problema serio: “Una volta in Val Cervara nel Parco Nazionale d’Abruzzo trovammo 29 esche avvelenate, con le carcasse di 2 lupi e 11 volpi”. L’area intorno al Gran Sasso da sempre è luogo a rischio per gli animali. Qualche tempo fa, due carcasse di volpi, ma anche cornacchie e altri animali sono stati trovati morti nel parco Nazionale d’Abruzzo. Uno scenario che ha preoccupato i Guardia Parco che hanno allertato il Corpo Forestale, chiamato ad indagare sul posto. A febbraio abbiamo denunciato la morte del lupo Claudio, massacrato dai bracconieri nel Parco Nazionale del Gran Sasso.

Diverse sono le forme di esca: “Spesso usano il lardo, ripieno di stricnina”, dice Angelini. Poi ancora: “Oppure ratticidi o pesticidi reperibili in commercio”. I pericoli sono tantissimi: “A volte troviamo anche chiodi e ami da pesca dentro le polpette. Un’altra arma letale sono le spugne fritte. Una volta ingerite si dilatano e l’animale muore tra sofferenze inimmaginabili”.  Non è un problema tutto del Gran Sasso: nel 2008 nel Parco Nazionale del Pollino, in Calabria, vennero uccisi 12 grifoni. Erano stati appena reintrodotti, ma vennero avvelenati con delle carcasse di animali impregnate di siero letale.

 

GM

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