Uccisero il cane a bastonate: padre e figlio assolti anche in Appello

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By Gabriele

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Uccisero il cane a bastonate a Breno, in provincia di Brescia, nel luglio 2014: il caso fece clamore, padre e figlio assolti anche in Appello.

uccisero cane bastonate
(screenshot video)

Assolti anche in Appello i due imputati, padre e figlio, accusati di aver barbaramente ucciso un cane il 18 luglio 2014 a Breno, località in provincia di Brescia situata nei pressi del passo Crocedomini. “Il fatto non sussiste”, la formula utilizzata dai giudici mentre l’accusa aveva chiesto per padre e figlio 4 mesi di condanna. Secondo la ricostruzione fatta dalla pubblica accusa, il cane venne finito dopo aver patito atroci sofferenze, preso a calci e bastonate prima di essere ucciso barbaramente con una pietra scagliatagli pesantemente in testa.

Uccisero il cane a bastonate: dalla morte all’assoluzione

In primo grado, dopo il rinvio a giudizio, l’accusa chiese un anno e 11 mesi di condanna, invece anche in quell’occasione arrivò l’assoluzione. Quella sentenza ha previsto per loro l’utilizzo della legittima difesa. Il fatto non sussiste, ed anzi l’animale avrebbe manifestato propositi minacciosi tali da giustificarne l’uccisione. I giudici d’Appello non hanno smentito quelli di primo grado: anche per loro, i due pastori hanno agito per difendersi. Da un lato, dunque, foto e video che sembrano documentare una vera e propria aggressione, dall’altro la decisione dei giudici, che danno ragione ai due pastori. Infatti, la tesi difensiva è stata ritenuta credibile in entrambi i gradi di giudizio.

Secondo gli avvocati di padre e figlio, infatti, il cane sarebbe morto dopo la prima bastonata, inferta perché l’animale stava tentando di aggredire persone di passaggio. Le immagini dell’uccisione erano anche finite online, proprio grazie a un filmato girato da un passante. Dopo la sentenza di primo grado, si era alzato il coro di voci di protesta da parte di molte associazioni animaliste: dalla Lav, che si era spesa come parte civile nel processo, fino alla LIDAA di Michela Vittoria Brambilla, che fece notare come fosse importante evitare che fatti del genere passino sotto voce o peggio ancora “che vengano percepiti come la normalità”.

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