Allevamenti intensivi degli animali in Ue: la parola d’ordine è “cambiare”

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By Davide

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Gli allevamenti intensivi producono più danni di tutte le auto e i furgoni presenti in Ue: numeri allarmanti inducono alla riflessione.

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I maiali in un allevamento intensivo (Fonte Facebook)

La riflessione su come proteggere l’ecosistema è ancora in superficie. Molti non scendono nei meandri di questo aspetto perché costerebbe, in tutti i sensi. Ma il Pianeta chiede aiuto e il grido è molto forte, basti pensare a tutto quello che sta accadendo intorno a questo 2020, un anno che difficilmente scorderemo e che sarà destinato a entrare nella storia. Tra gli aspetti che ci inducono a parlare e riflettere sicuramente c’è quello dell’inquinamento atmosferico che, molti di noi, accostano a pratiche che, sì, portano danni ma non meno di altro che si preferisce non vedere oppure far finta che non esitano per “piaceri” personali.

Parliamo degli allevamenti intensivi. Una “macchina da guerra” che in Ue reca danno più di tutte le auto e i furgoni in circolazione. Più precisamente le emissioni di gas serra di questi allevamenti nocivi rappresentano, leggete bene, il 17% delle emissioni totali dell’Ue. Come detto poc’anzi più di tutto il quantitativo d’auto e furgoni messi assieme. Senza un preciso e drastico intervento, che richiede coraggio e determinazione, l’Ue non sarà in grado, nel futuro prossimo, di raggiungere gli obiettivi definiti dall’Accordo di Parigi sul clima. A sostenere tutto ciò è un’accurata analisi portata avanti da Greenpeace. L’associazione dichiara che le emissioni annuali degli allevamenti intensivi sono aumentate del 6% tra il 2007 e il 2018. In poco più di 10 anni, praticamente, non si è fatto che aumentare un disagio, rischiano il danno irreparabile.

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I dettagli sui danni che provocano gli allevamenti intensivi: un male da estirpare

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Un allevamento intensivo di mucche (Fonte Facebook)

Scendendo nel dettaglio l’aspetto si fa più complicato, ma è giusto dare qualche dato per far capire quanto sia allarmante la situazione intorno alla vicenda degli allevamenti intensivi. La zootecnica europea emette l’equivalente di 502 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. All’interno di ciò vanno incluse le emissioni indirette di gas a effetto serra. Quest’ultime derivano dalla produzione di mangimi, dalla deforestazione (altro male al Pianeta di livelli mostruosi) e dai vari cambiamenti nell’uso del suolo. L’altro dato incredibile è il seguente: con ciò poc’anzi detto le emissioni totali da attribuite alla zootecnica europea sono equivalenti a 704 milioni di tonnellate di CO2, più delle emissioni totali che auto e furgoni, in Ue, producono in un anno, e cioè 656 milioni.

Abbiamo una possibilità unica a portata di mano. Il potenziale di riduzione dei gas a effetto serra che deriva dalla riduzione del numero di animali allevati in modo intensivo è enorme. Basti pensare che una riduzione del 50% (e qui parliamo già di una quota consistente) consentirebbe un risparmio di emissioni pari a 250 milioni di tonnellate di CO2. Una cifra paragonabile alle emissioni nazionali, all’anno, dei Paesi Bassi e Ungheria… messe assieme. Mentre un riduzione del 75% (e qui sfioriamo quella che in molti chiamano utopia ma che dovrebbe essere il “dato del giorno”) permetterebbe un risparmio di circa 376 milioni di tonnellate di CO2. Aprite bene gli occhi con questo numero poc’anzi citato: più delle emissioni nazionali combinate, nel giro di un anno, di 13 Paesi dell’Ue, che rapportato all’impatto climatico in ambito industriale, equivarrebbe a dire la totale riduzione di tutti i Paesi membri.

Come abbiamo visto recentemente per gli allevamenti intensivi dei pesci con Grecia e Italia coinvolte, questo è un discorso che deve essere affrontato e portato come compito, all’ordine del giorno. In gioco non c’è sola la vita degli animali, ma di tutto il globo terrestre.

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