A volte non è l’incidente in sé a colpire, ma quel momento in cui trovi un animale a terra e capisci che nessuno si è fermato.
Certe volte non è il rumore di un incidente a colpirti, ma il silenzio che arriva dopo. Quello che trovi quando ti avvicini e capisci che c’è un animale a terra che respira ancora, ma è completamente solo.
Succede in pochi secondi, ma ti resta nella mente per sempre. È quello che è capitato a Giada, mentre percorreva una strada della cintura torinese: un capriolo nel fosso, immobile, la testa reclinata, e nessuno che si fosse fermato a controllare.
L’auto che lo aveva colpito era già lontana. Lui invece era per terra, la sera era fredda con appena 2°C, in una posizione innaturale di chi sta soffrendo ma che non può urlare.
Davanti a una scena così, chiunque si sentirebbe perso ma non indifferente. Giada ha preso il telefono e ha chiamato il centro competente, convinta che qualcuno sarebbe arrivato subito. Invece si è trovata davanti a una montagna di procedure, numeri da richiamare, spiegazioni che sembravano quasi scollegate da ciò che stava accadendo proprio lì, nel fosso sotto i suoi occhi.
Le hanno detto che forse era meglio non toccarlo, che se si trattava di un trauma cranico avrebbe dovuto “riprendersi da solo”. Intanto il tempo scorreva. Lei insisteva, spiegava che l’animale non reagiva, chiedeva aiuto. E il capriolo continuava a respirare a scatti, senza nessuno che verificasse da vicino le sue condizioni reali. Per riuscire ad avere qualcuno sul posto sono servite più di quattro ore.
Quando un operatore è finalmente arrivato, Giada si aspettava un salvataggio come si deve, ma non è esattamente ciò che ha visto. Il capriolo è stato sollevato in modo brusco, infilato in una cassa troppo stretta, piegato su se stesso perché lo spazio non bastava. E tutta la scena era illuminata solo dai fari del camioncino, senza nemmeno una torcia.
A quel punto qualunque cittadino si chiederebbe: è davvero questo il modo corretto di soccorrere un selvatico ferito? Possibile che ogni centro applichi criteri così diversi? E soprattutto: perché nessuno è tenuto a venire subito a vedere cosa sta succedendo? Domande che non nascono dalla rabbia, ma da un senso di impotenza che chi ama gli animali conosce fin troppo bene.
Il centro coinvolto sostiene di avere seguito i propri protocolli, spiegando che in assenza di ferite evidenti è meglio lasciare l’animale tranquillizzarsi prima di intervenire. Altri esperti però dicono l’esatto contrario: nella stragrande maggioranza dei casi un capriolo investito ha traumi interni, fratture, lesioni che non puoi valutare al telefono. E per questo bisognerebbe andare sul posto subito. Due visioni completamente opposte, e in mezzo un essere vivente che soffre.
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Dopo qualche giorno di ricovero, il capriolo si è ripreso ed è stato liberato. Una buona notizia, certo. Ma non basta a cancellare quelle ore d’attesa, né la sensazione che qualcosa, in questo sistema di soccorso, continui a non funzionare. Perché nessun animale dovrebbe rimanere agonizzante sull’asfalto mentre si decide se “vale la pena intervenire”. E finché ci saranno storie così, sarà impossibile restare in silenzio.
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