Furto di cani da caccia in Sardegna, un traffico da migliaia di euro: cosa rischiano i colpevoli

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By Antonio Scaramozza

Curiosita

Il furto sistematico di cani da caccia ha dato vita in Sardegna ad un traffico illecito da migliaia di euro. Cosa rischiano i colpevoli?

Furto di cani da caccia in Sardegna
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Con l’apertura della nuova stagione venatoria è tornato alla ribalta della cronaca il traffico illecito che trae i propri proventi dal furto sistematico di cani da caccia, che flagella la Sardegna da diversi anni. Il fenomeno non pare arrestarsi, anche perché una buona percentuale dei derubati preferisce non denunciare il reato. Tuttavia a pagarne le spese più alte, come sempre, sono gli animali coinvolti.

Una piaga sociale

La caccia miete le sue vittime anche quando a colpire non sono i fucili. Spesso si parla delle condizioni di vita non ottimali in cui i cani da caccia vengono tenuti dai cacciatori, e del destino riservato agli stessi quando raggiungono un’età da pensione.

Alimentazione del Deutscher jagdterrier
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D’altronde, spesso e volentieri, per chi esercita l’attività venatoria, professionalmente o meno che sia, il cane è un mero strumento di lavoro; al pari di un fucile e di ogni altra cosa da adoperare nello svolgimento della stessa.

In Sardegna, da diversi anni, si registra un particolare fenomeno delittuoso, che con il passar del tempo fa registrare numeri sempre più alti, assumendo i contorni di una vera e propria piaga sociale: parliamo del furto di cani da caccia, destinati ad essere rivenduti ad altri cacciatori.

Le mete preferite degli smistamenti della “merce” rubata non sono affatto lontane: le dirimpettaie Toscana, Umbria e Lazio, nonché la vicina Corsica.

Ma sono molti gli animali che rimangono nell’isola. Di razza o meticci, fa poca differenza: l’importante è che sappiano il fatto loro. Anche se va precisato che di recente si è assistito ad un notevole incremento del furto di cani da ferma, come Setter e Pointer.

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Furto dell’animale: cosa rischiano i colpevoli

Le persone offese dal suddetto reato, a norma di legge, non sono certo i cani da caccia, ma i rispettivi proprietari defraudati. D’altronde per l’ordinamento giuridico, da un punto di vista puramente civilistico, gli animali sono soltanto delle res; con diverse forme di tutela, certo, ma pur sempre delle res.

Furto dell'animale domestico (Foto Adobe Stock)
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Insomma, oggetti appartenenti al patrimonio di chi li possiede, economicamente valutabili, e pertanto alienabili (o di per contro acquistabili). Il reato alla base del traffico descritto è quello di furto, disciplinato dall’art. 624 cp, a norma del quale

Chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 154 a 516 euro 

L’articolo seguente prevede un trattamento sanzionatorio più grave per chi, nella commissione della condotta delittuosa, si introduce in un luogo adibito, in tutto o in parte, a dimora privata, o nelle pertinenze di esso (dove è probabile che siano tenuti la maggior parte dei cani da caccia).

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Non pare possa sussistere, in siffatti casi, il rischio emerso, in maniera piuttosto discutibile, in alcuni orientamenti minoritari della giurisprudenza di merito, quando ad essere oggetto di furto è l’animale d’affezione.

Il valore economico modesto dello stesso (tale è il cane non di razza) talvolta è stato addirittura interpretato come mancanza della volontà di trarre profitto dalla condotta, che è elemento costitutivo affinché il reato sia punibile.

Nella maggior parte dei casi i cani da caccia sono di razza, e a prescindere da tale circostanza rivestono un valore economico maggiore per chi li adopera nell’attività venatoria, soprattutto se esercitata a livello professionale.

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