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63 anni dalla morte di Laika: un simbolo tra schiavismo e pensiero

Il 3 novembre 1957 Laika venne lanciata nello spazio e lì perse la vita: dopo 63 anni la riportiamo alla memoria per evidenziare un aspetto fondamentale.

Laika, la cagnolina che il 3 novembre 1957 venne lanciata nello spazio con la capsula chiamata Sputnik 2 (Fonte Facebook)

Pensare a un mondo ove gli esseri umani possano vivere in armonia con l’ambiente circostante non è più utopia. È una verità: profonda, sublime ed essenziale. Che si è scoperta da sola, come la statua di Glauco che rimane in fondo all’Oceano, per poi risalire a galla, grazie alle alghe che, pian piano, si scrostano da sole, mentre nessuno, prima di allora, aveva avuto il coraggio di osservare cosa ci fosse sotto alla statua stessa. È una metafora, certo. Ma è il senso della vita: la verità, prima o poi, si spoglia dei luoghi comuni e viene a galla, che ci piaccia o meno.

L’utopia che si tramuta in verità. Il coronavirus ha aperto una sola porta, ma la via, pregna di luce, spetta a noi, tutti, intraprenderla. Dal Covid-19 a Laika, la cagnolina che nel 1957 venne lanciata nello spazio e non fece più ritorno. O meglio: tornò, per essere cremata e per sancire, ancora una volta, la crudeltà dell’essere umano dinanzi agli occhi della natura, in questo caso quella animale. Una natura che, come narravano i Greci, è quello scenario immutabile che nessun dio e nessun uomo fece, ma sempre è stata, è e continuerà ad essere.

L’essere umano come detentore di una falsa verità. L’essere umano come dominatore di tutte le specie. L’essere umano, piccolo e indifeso, dinanzi alla pandemia di coronavirus. Laika è stata un pretesto, lanciato, per decretare la supremazia di un Paese rispetto ad un altro. La “voglia” di potere, di comandare, di governare il mondo, dimenticandosi, per sempre, gli occhi di un povero essere vivente. Ma cosa ci dicevano, e a tutt’oggi ancora dicono, gli occhi di Laika, riguardando la sua immagine prima del lancio dello Sputnik 2, la capsula grande come una “lavatrice”?

Laika: la cagnolina morta nello spazio può rappresentare un simbolo per il ritorno al pensiero

Laika in una foto in bianco e nero prima del lancio nello spazio (Fonte Facebook)

Tutti noi sappiamo cosa accadde a Laika ben 63 anni fa. Ricordarlo ogni anno significherebbe ben poco, se non evidenziare un fatto storico lasciato, solamente, alla storia stessa. Il sacrifico di Laika ci spinge, invece, alla riflessione profonda, che connette essere e pensiero, e che parte dalle parole della biologa russa Adilya Kotovskaya, che al tempo dichiarò: “Le ho chiesto di perdonarci e le ho dato un’ultima carezza. In quell’istante ho versato tutte le lacrime del mondo. Sapevo cosa avrebbe passato lì dentro”.

Tutto ciò, e soprattutto quest’ultima dichiarazione, che prende come esempio, rappresenta una colpa meta-fisica, e cioè: perché lei e non io?. Come qualche filosofo, contemporaneo e di grande spessore come Umberto Galimberti, direbbe: “La colpa meta-fisica è quella materia, se così vogliamo chiamarla, che parlava alle coscienze dei tedeschi e di tutti colore che sapevano e diceva: perché, dopo tutto ciò che è accaduto, io sono ancora vivo e loro, gli ebrei, no?”.

Era così necessario lanciare Laika nello spazio per far vedere i muscoli? La risposta è no. Non era necessario. A questa cagnolina, come a tutti i nostri amici a quattro zampe, mancava la parola, ma non lo sguardo. E se avesse avuto la parola, avrebbe detto alla biologa: “Perché non tu, dato che piangi ed esprimi empatia nei miei confronti, al posto mio?”.

Siamo andati sulla Luna, nello spazio e ci accingiamo, con onde supersoniche, a mettere piede anche su Marte, nonostante il nostro Pianeta, la Terra, bruci ad ogni angolo. Ma a noi non importa. Quello che conta è mostrare i muscoli, sempre, a costo di distruggere tutto. È cosa ben nota, e l’autore di questo articolo se ne prende tutte le responsabilità del caso, che lo schiavismo diffuso tra gli esseri umani, passa, soprattutto, da una forma ancora più antica: e cioè di quello attuato sugli animali.

Finché l’uomo non si arrenderà all’idea di essere un mortale e un componente, come tutti gli altri esseri viventi, all’interno della natura come sfondo immutabile, e non un dominatore dei pesci delle acque, dei volatili del cielo e degli altri animali della terra, allora non ci sarà mai Pace. Ma, lo scenario che si è aperto con la pandemia di coronavirus, ha acceso un grande faro proprio su questa questione.

Può, un solo essere vivente, essere sacrificato in nome dello sviluppo o del potere? 63 anni fa è toccato a Laika, in futuro, se agiamo e non speriamo, non toccherà più a nessuno. Perché, o si progredisce tutti insieme, o si rimane in stallo, finché anche l’ultimo degli esseri viventi non sarà arrivato al punto di partenza. A quel punto si potrà iniziare la corsa, insieme.

Davide

Laureato in Scienze della Comunicazione con tesi in Filosofia del Linguaggio. Dal 2017 Iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio. Autore di due libri sul tema del viaggio: "Il cuore arriva dove gli occhi non vedono" (uscito nel 2019) e "Di notte è tutto più chiaro" (uscito nel 2023). Attratto dal mondo degli animali anche grazie alla fotografia, altra espressione del suo essere.

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Davide

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