Ti sei mai chiesto come mai è proprio il panda il simbolo legato all’estinzione degli animali? La ragione di questa scelta è incredibile!
Ti sei mai chiesto perché, ogni volta che si parla di animali in via d’estinzione, la prima immagine che ti viene in mente è quella del panda gigante? Non è un caso.

Non è nemmeno perché sia l’animale più minacciato al mondo, ce ne sono molti altri in condizioni peggiori. Il motivo è un mix tra comunicazione efficace, immaginario collettivo e una strategia che ha funzionato così bene da trasformare un orsetto bianco e nero in una vera e propria bandiera della biodiversità.
Perché il panda è il simbolo degli animali in via di estinzione?
Tutto è cominciato nel 1961, quando un gruppo di ambientalisti decise di fondare un’organizzazione per difendere la fauna selvatica del pianeta. Doveva chiamarsi World Wildlife Fund (che oggi conosciamo come WWF) e aveva bisogno di un simbolo forte, universale, capace di parlare a tutti.

E fu così che la scelta cadde su Chi-Chi, una femmina di panda gigante arrivata pochi anni prima allo zoo di Londra. Era già abbastanza conosciuta e amata dal pubblico britannico, e il suo aspetto buffo, tenero, con quegli occhi cerchiati di nero e l’andatura goffa, la rendeva irresistibile.
A dare forma grafica a quell’idea fu l’artista naturalista Gerald Watterson, ma fu Peter Scott, cofondatore del WWF, a rendere quel disegno stilizzato in bianco e nero il logo che ancora oggi conosciamo tutti. Il panda aveva tutto quello che serviva: era una specie realmente a rischio, era iconico, ma soprattutto generava empatia. Era impossibile non provare tenerezza guardandolo.

Con il tempo, però, il panda è diventato molto più di un logo. È diventato un simbolo universale della conservazione, un ambasciatore silenzioso di tutte le specie che rischiano di sparire per sempre. Il WWF è riuscito a costruirgli attorno una narrazione potente, capace di far passare messaggi fondamentali sulla salvaguardia degli ecosistemi, ma in modo accessibile, umano, diretto. Quando si dice la “forza dello storytelling”.
Certo, oggi ci sono critiche anche su questo. Qualcuno dice che ci si è concentrati troppo su animali “carini”, carismatici, come appunto i panda, i koala o i leoni, dimenticandosi di specie meno “fotogeniche” ma in pericolo serio, come gli anfibi, gli insetti impollinatori o i pesci di acqua dolce. E c’è del vero. Ma è anche grazie a simboli potenti come il panda se oggi abbiamo un movimento ambientalista globale più consapevole e sensibile.
A livello di conservazione il panda è uno dei pochi esempi positivi. Un tempo era classificato come “in pericolo”, oggi è passato a “vulnerabile”, segno che qualcosa, in termini di protezione del suo habitat e di programmi di ripopolamento, ha funzionato. Questo non vuol dire che possiamo abbassare la guardia. Il panda resta una specie fragile, che vive in zone ristrette della Cina e che ha una natalità bassissima. Ma rappresenta anche una storia che dà speranza: si può ancora invertire la rotta.
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In fondo, il panda è diventato il volto della natura da proteggere perché unisce tante cose: è unico, è tenero, è empatico, è il simbolo di un errore da non ripetere. E forse è proprio per questo che continua a parlarci, anche dopo sessant’anni. Per ricordarci che, dietro ogni animale a rischio, c’è una responsabilità che ci riguarda tutti. E una possibilità di fare la differenza.