Morta l’orca più sola del mondo: la tristissima storia di Kshamenk

Per trentatré anni ha girato in tondo dentro una vasca, lontana dall’oceano. Kshamenk non era solo un’orca, ma una ferita che fa male.

Per qualcuno era solo un nome difficile da ricordare, per altri invece Kshamenk era diventata un simbolo di sofferenza.

orca nella vasca
Morta l’orca più sola del mondo: la storia di Kshamenk – amoreaquattrozampe.it

Un’orca che non ha mai più visto il mare, che non ha mai potuto nuotare, che ha passato la vita girando in tondo dentro una vasca. Domenica 14 dicembre se n’è andata per sempre, dopo 33 anni di cattività, per un arresto cardiaco. E con lei se ne va una storia che fa ancora male raccontare.

La storia di Kshamenk: una vita che non doveva andare così

Kshamenk era un’orca maschio, nata libera nell’Atlantico meridionale. Non era figlia di un acquario, non era cresciuta tra il cemento e il cloro. Aveva conosciuto l’oceano, i suoi spazi enormi, i suoni profondi, le onde sulle pinne. Poi, nel 1992, tutto è cambiato.

Fu trovata arenata in una baia vicino a Buenos Aires, disidratata e ustionata dal sole. Da lì iniziò quello che venne raccontato come un salvataggio, ma che col tempo si è trasformato in una prigionia senza fine.

Kshamenk
La storia di Kshamenk: una vita che non doveva andare così – amoreaquattrozampe.it

Portata al parco acquatico Mundo Marino, in Argentina, Kshamenk non è mai più tornata in mare. La motivazione ufficiale parlava di un animale ormai dipendente dall’uomo, incapace di sopravvivere da solo. Una spiegazione che, negli anni, ha convinto sempre meno.

Kshamenk ha vissuto trentatré anni dentro una vasca

La casa di Kshamenk era una vasca piccola, inadatta a un animale che in natura percorre decine di chilometri al giorno. Non poteva immergersi in profondità, non poteva nuotare in linea retta, non poteva scegliere nulla. Passava le giornate girando in cerchio, sotto il sole, senza stimoli, senza una vera vita sociale.

Per un breve periodo ebbe accanto un’altra orca, Belén. Con lei provò anche a riprodursi, ma senza successo. Quando Belén morì, nel 2000, Kshamenk rimase completamente solo. Da quel momento, la sua compagnia furono solo uno o due delfini, animali di un’altra specie, incapaci di colmare quel vuoto.

Negli anni, molte associazioni animaliste hanno sollevato dubbi su quella che veniva definita un’operazione di salvataggio. Alcuni hanno ipotizzato che l’arenamento fosse stato forzato, una messa in scena per aggirare i divieti sulla cattura delle orche. La verità forse non la sapremo mai. Quello che è certo è che Kshamenk non ha mai avuto una seconda possibilità.

In tutto il mondo, migliaia di persone hanno provato a cambiare il suo destino. Petizioni, campagne social, appelli politici, richieste di trasferimento in un santuario marino. In Italia, già nel 2013, una petizione aveva raccolto oltre 12.000 firme. Negli ultimi anni si è arrivati a quasi 700.000 adesioni a livello globale.

Mundo Marino ha sempre risposto allo stesso modo: Kshamenk stava bene, non mostrava segni di stress, spostarla sarebbe stato pericoloso. Intanto il tempo passava e l’orca non ha mai più rivisto la sua libertà.

Kshamenk non era solo un’orca, era il volto di una contraddizione enorme: animali nati per il mare, rinchiusi per intrattenimento. La sua morte non cancella quello che ha vissuto, ma ci obbliga a guardarci dentro e a chiederci quanto siamo disposti ad accettare tutto questo. La sua solitudine di Kshamenk è finita, ma la responsabilità invece è tutta ancora sulle nostre spalle.

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