Ne avrebbero tante da raccontare, ma non sarebbero belle storie da ascoltare: gli ex cani da combattimento sono pericolosi? Le avventure di quelli recuperati.

Abituati a combattere praticamente da sempre, possono essere considerati dei quattro zampe ‘a rischio aggressività’? Si tratta del quesito che avvolge tutti quegli animali addestrati ad incontri violenti: ci si chiede se gli ex cani da combattimento siano pericolosi oppure, in un contesto ‘normale’, che rispetti le loro esigenze possano essere considerati cani come tutti quanti gli altri. Un dilemma spiegato proprio dalla vita di quattro protagonisti: Brodo, Sugo, Goccia e Alba.
Ex cani da combattimento: una vita di abusi e traumi
Una vita trascorsa a stimolare la rabbia nei cani che poi dovranno scendere ‘in campo’ e lottare con altri loro simili. Tutto questo a scopo di lucro. Questo è il proposito di chi addestra cani ad uccidere i loro simili e ad essere potenzialmente letali per qualsiasi essere vivente. Ma in cosa consiste questo stile di vita?

Corse estenuanti, esercizi che rafforzano la presa mascellare, talvolta si ricorre anche a collari elettrici, strumenti disumani coi quali si punisce l’animale con una scarica elettrica quando non obbedisce o non riesce nell’esercizio assegnatogli. Alla base di tutto ciò probabilmente c’è anche un prolungato digiuno, che ‘incattivisce’ la creatura e la rende più feroce.
Sono gli stessi ‘padroni’, o meglio ‘allenatori’ senza scrupoli, a picchiarli con spranghe di ferro e sottoporli a varie sevizie, magari dopo averli rinchiusi in sacchi neri e drogati. In fondo per questi uomini senza scrupoli, quei cani non sono altro che animali da sfruttare per il proprio tornaconto.
Ex cani da combattimento sono pericolosi?
Premesso che ogni cane ha una sua personalità, le povere vittime che sono i cani da combattimento in realtà sono accomunati tutti da un passato di abusi e traumi, che hanno sicuramente inciso sul loro carattere e sulla fiducia che possono riporre in un essere umano. In fondo nella loro vita hanno solo conosciuto padroni abusanti e cattivi nei loro confronti, che alla fine di un combattimento ‘andato male’ si liberavano delle loro carcasse senza tanti scrupoli.
Il cane è un animale abitudinario e per coloro che hanno conosciuto solo lo stile di vita violento dell’addestramento al combattimento non esiste altro: non esistono altri giochi o passatempi, o esercizi che non prevedano sofferenza ed umiliazioni. Il carico negativo accumulato in ciascuno di loro è enorme.
Il percorso di recupero
Ovviamente non hanno idea di come si strutturi un percorso di socializzazione del cucciolo di cane, che potrebbe renderli pronti ad una eventuale, futura adozione. Dimenticare il passato non è possibile, ma bisogna farli abituare a uno stile di vita sano, al ricevere affetto e al non avere paura, che per loro ha sempre rappresentato sia un effetto dell’addestramento sia lo strumento che il padrone usava per dominarli.
Hanno sempre ‘comunicato’ attraverso la violenza fisica, sia subita sia agita: è questo il canale comunicativo, l’unico a cui sono stati abituati. Quindi tutto passa attraverso il muso e la bocca, quindi c’è bisogno dell’aiuto di esperti che sappiano ‘incanalare’ questa tipologia di comunicazione in altre forme.
Ex cani da combattimento sono pericolosi? La ‘testimonianza’ diretta
Brodo, Sugo, Goccia e Alba sono solo gli ultimi quattro cani in via di recupero con un percorso di riabilitazione dopo un passato di violenza: anche loro erano addestrati come cani da combattimento da padroni senza scrupoli. Questi ultimi inoltre non arrivavano necessariamente tutti da contesti malfamati ma anche di ‘improvvisati’.

Il cane è spesso, purtroppo, vissuto come uno status symbol e cani di razza Pitbull Terrier sono sicuramente sinonimo di forza, potere e anche violenza da sfoggiare e di cui essere orgogliosi. Al padrone piace essere ‘temuto’, perché crede così di ricevere rispetto e ammirazione dagli altri, e semplicemente ‘utilizza’ il suo cane come simbolo del dominio che esercita.
Tutto ciò rientra in una logica di violenza, condivisa da tutti i membri di una organizzazione criminale come questa, che ha un proprio codice di comunicazione e i luoghi per gli incontri. I quattro protagonisti, gli ultimi ‘salvati’ da questa rete malata hanno ancora i segni visibili sul corpo delle violenze e dei combattimenti disputati.
Ma le vere ferite sono quelle che non si vedono, quelle nell’anima e il percorso per ripristinare la fiducia nel prossimo è tanto angusto quanto lungo. Uno dei quattro, Alba, era addirittura incinta perché, oltre ad essere utilizzati come strumenti di morte a scopo di lucro, le femmine vengono fatte ingravidare proprio per garantire la prosecuzione della specie di questi animali da ‘sfruttare’.
Come si ‘salvano’ questi ex cani combattenti?
A salvarli da un destino di morte violenta certa e abusi sono arrivati i membri della Fondazione Cave Canem, il cui membro storico Federica Faiella ha parlato in un’intervista del progetto #Io non combatto che si occupa del recupero dei cani da combattimento salvati ma anche della sensibilizzazione del cittadino.
solo coinvolgendo l’intera comunità è possibile individuare questo contesti in cui si consumano le violenze, oltre al supporto delle forze dell’ordine e alla collaborazione con Humane World for Animals dal 2020. Per i cuccioli si progetta un percorso di socializzazione precoce, mentre per gli adulti ci si affida a Mirko Zuccari, competente ed esperto membro della fondazione, specializzato in recuperi di questo genere.
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Ma ottenere l’affidamento di un ex cane da combattimento non è affatto facile, perché bisogna ottenere la concessione da parte degli organi inquirenti. Il compito degli organi istruttori è fare in modo che questi animali non tornino mai più in mani sbagliate e possano trovare finalmente lo stile di vita che meritano.